La disprassia è uno dei più comuni disordini dello sviluppo (American Psychiatric Association, 2014), ma a differenza dei Disturbi Specifici dell’Apprendimento (DSA), di altrettanta diffusione, il percorso per arrivare a una diagnosi certa e univoca risulta maggiormente difficoltoso: un bambino disprattico può essere sottoposto a diversi iter diagnostici prima di arrivare a una definizione chiara delle sue difficoltà, soprattutto se non sono presenti ritardi o disturbi di linguaggio e il profilo cognitivo risulta in norma. Una delle cause di tali difficoltà diagnostiche risiede nel fatto che, diversamente dai DSA, per la disprassia mancano criteri univoci rispetto alla definizione, alla diagnosi e all’eziologia del disturbo (Sabbadini, 2005). Possono inoltre essere usati termini diversi per indicare lo stesso problema, i più comuni sono:
- Developmental Dyspraxia (Disprassia Evolutiva),
- Disorders of Attention and Motor Performance (Disturbi dell’attenzione e della performance motoria),
- Specific Developmental Disorders of Motor Function (Disturbo Evolutivo Specifico della Funzione Motoria),
- Developmental Coordination Disorders (Disturbo della Coordinazione Motoria).
Un’ulteriore elemento di complessità diagnostica riguarda l’ambito in cui si possono manifestare i disturbi prassici, che possono essere generalizzati o riguardare settori specifici (come per esempio il distretto bucco-facciale o la competenza grafo-motoria). La disprassia, quindi, può essere considerata un quadro sindromico con importanti elementi di variabilità che vanno valutati accuratamente per ogni bambino (disprassia primaria), ma è anche una caratteristica presente in diversi disturbi neuroevolutivi (disprassia secondaria), tra i più comuni:
- ADHD (Deficit dell’Attenzione ed Iperattività),
- DSA (Disturbi Specifici dell’Apprendimento),
- Disturbi dello spettro autistico,
- Sindrome di Asperger e autismo ad alto funzionamento,
- Sindrome di Williams.